Superbonus no, Direttiva Case Green Si! Quanto ci costa il cambio di rotta del Governo?

Superbonus no, Direttiva Case Green Si! Quanto ci costa il cambio di rotta del Governo?

L’Eurocamera dà il via libera alla direttiva sulle case green ma con lo stop dello sconto in fattura i costi ricadono sui contribuenti. Spieghiamo brevemente cosa è ed in cosa consiste e quanto potrebbe costarci la nuova Direttiva Europea.

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In questi ultimi anni l‘Europarlamento è chiamato a votare sempre più spesso su politiche per l’ambiente dal forte peso ideologico. Ieri ad esempio, il Parlamento europeo ha approvato la cosiddetta Direttiva sulla casa “green” e l’efficienza energetica degli edifici. Ad una prima impressione un voto in questo senso non può che essere positivo. Soprattutto vista l’esigenza di portare avanti ancora più decisamente la transizione ecologica abbattendo drasticamente le emissioni di gas inquinanti. Ad un esame più attento però la situazione non è affatto così rosea.

La Direttiva case green prescriverà agli Stati membri obiettivi di ristrutturazione degli immobili residenziali e non, al fine di aumentarne l’efficienza energetica. Il lasso di tempo previsto si estenderà fino al prossimo decennio. Precisiamo che tale direttiva ha ottenuto una discreta maggioranza visto che a Strasburgo è stata approvata con 343 voti favorevoli, 216 contrari e 78 astenuti. A questo punto la palla passa in mano alla Commissione che è autorizzata a avviare trattative con il Consiglio, cioè gli Stati, per portare a compimento l’entrata in vigore della direttiva.

Si perché prima dell’entrata in vigore della direttiva case green c’è anche da capire su chi ricadranno le spese per la ristrutturazione di questi edifici oltre che gli effetti che una misura di questo tipo potrebbe provocare sull’economia. Visto l’attuale blocco dello sconto in fattura e della cessione del credito (ne parliamo qui), la risposta ci appare scontata: i costi ricadranno sui proprietari degli edifici da riqualificare ovvero su di noi cittadini.

In questo articolo cerchiamo di fare il punto della situazione spiegando perché, dietro alle buone intenzioni, si nasconde un rischio grandissimo per il nostro paese per le nostre tasche.

Cosa prevede la nuova direttiva “case green”?

Secondo la Direttiva Europea “Case green” gli stati Stati membri dell’UE dovranno dare una decisa sterzata green soprattutto nel settore delle costruzioni. La nuova direttiva si fonda sul fatto che gli edifici sono classificati per impatto ambientale su una scala che va da A a G. 

Se quanto abbiamo affermato è sicuramente vero, è altrettanto vero però che non c’è una uniformità di criteri per individuare la classe energetica peggiore degli edifici tra i vari paesi europei. In altre parole, la classe G italiana, non corrisponde ad esempio a quella della Romania o della Polonia, ovvero da paesi dalle caratteristiche socio-economiche e storiche ben diverse dalle nostre. Questi paesi infatti molto probabilmente dovranno sostenere spese molto minori per riqualificare i loro edifici partendo da un livello di efficienza più basso.

A questo punto dobbiamo anche riportare che secondo la direttiva casa green gli edifici residenziali dovrebbero raggiungere almeno la classe di prestazione energetica E entro il 2030 e D entro il 2033. Come se non bastasse, ogni nuovo edificio dovrà essere realizzato a emissioni zero a partire dal 2028 se costruito da privati e dal 2026 se costruito per fini pubblici. 

Ci preme quindi sottolineare due aspetti che riguardano queste ultime diposizioni:

  • la strettezza dei tempi previsti per l’adeguamento alla direttiva, soprattutto per i nuovi edifici,
  • i costi che questo potrebbe riservare, soprattutto per l’Italia.

In merito a quest’ultimo aspetto, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, che ha già chiesto:

“una seria presa in considerazione del contesto italiano, diverso da quello di altri Paesi europei per questioni storiche, di conformazione geografica, oltre che di una radicata visione della casa come ‘bene rifugiò delle famiglie italiane”.

La direttiva è un eccesso di zelo?

Il percorso della direttiva al parlamento Europeo non è stato semplice visto che ha spaccato la maggioranza che sostiene Ursula von der Leyen. A favore, assieme ai Socialisti, sono andati i Verdi, parte dei Liberali di Renew Europe, la Sinistra Europea e piccoli frammenti di Partito Popolare Europeo. Contro, tutta la destra e parte del Ppe. Sembrerebbe quindi quasi che il Parlamento Europeo sia stato vittima di un idelogia iper-ambientalista che poco tiene in considerazione le vere necessità di cittadini e imprese.

L’efficientamento energetico degli edifici è un obiettivo condivisibile e di fondamentale importanza. Tuttavia tale obiettivo non può essere perseguito sulla pelle dei cittadini. In queste condizioni infatti, le spese per l’efficientamento energetico saranno a carico dei cittadini. Costoro dovrebbero farsi carico di esborsi ingenti per ottemperare agli obblighi della direttiva. I costi del materiale edilizio, ma non solo questi, che in questo momento sono sensibilmente più alti rispetto a qualche anno fa grazie al Superbonus, potrebbero infatti ulteriormente aumentare.

Quando si parla di transizione energetica, l’Unione Europea, ha la tendenza di mettere il carro davanti ai buoi. Non si ragiona in termini di percorsi fatti di obiettivi da raggiungere organizzati in base a priorità, ma si individua l’obiettivo finale senza avere idea di come raggiungerlo. E questo è molto pericoloso da un punto di vista economico, per i singoli paesi ma anche per tutti i cittadini europei.

Se da un lato si rischia la perdita di milioni di posti di lavoro a livello europeo, dall’altro si rischia un costo plurimiliardario per l’Italia che sarebbe comunque minore di quello di  Francia e Germania. La prospettiva aperta dalla direttiva “case green” è quindi complessa anche se c’è ancora da giocare la partita del Consiglio Europeo.

Quanto costa la follia delle case green?

A realizzare una stima dei costi che l’Italia dovrebbe sostenere qualora passasse così come la “Direttiva casa green” ci ha pensato Ance (Associazione Nazionale dei Costruttori Edili).

Secondo il suo rapporto, la spesa per le ristrutturazioni “green” della casa ammonta ad una cifra compresa tra 40-60 miliardi di euro. Precisiamo inoltre che questa stima non tiene in alcuna considerazione né i costi per eventuali mutui e finanziamenti in capo ai privati, nuove torsioni verso l’alto del prezzo delle materie prime e costi burocratici in capo a amministrazioni o cittadini per la ristrutturazione. Si tratta quindi di una stima prudenziale che considera un costo medio per ristrutturazione che ammonta a 20-25 mila euro.

Ance ha poi anche stimato il numero di immobili che servirà ristrutturare al netto delle esenzioni che il Partito Popolare Europeo ha promosso. Se approvate tali esenzioni riguardano gli edifici dei centri storici delle città, case di famiglie indigenti, luoghi di culto e costruzioni soggette a vincolo storico e culturale. In totale sono circa 230.000 edifici pubblici e non residenziali e 1,8 milioni di residenziali privati. In altre parole è come dire che fino al 2033, dovranno essere ultimati oltre 200.000 interventi su singoli edifici. Tutto questo per portare a una classe energetica di E entro il 2030 e D entro il 2033 gli oltre 2 milioni di immobili interessati.

Per capire la dimensione della sfida, Ance ricorda che, con il superbonus 110%, sono stati realizzati poco meno di 100.000 interventi nel 2021 e 260.000 nel 2022. La Direttiva prevede, quindi, che nei prossimi anni dovremo mantenere un ritmo, costante, simile a quello sperimentato nell’ultimo anno.

Ma non finisce qui. La vera minaccia è quella che riguarda la svalutazione degli immobili. Ovvero il bene che gli italiani hanno usato per anni come forma di investimento dei loro risparmi. Per fortuna le sanzioni per chi non avesse ottemperato a questo obbligo, come il divieto di vendere o affittare la casa che non avesse il bollino verde richiesto dall’Europa sono decadute. Tuttavia rimane concreto il rischio di deprezzamento degli immobili che non saranno riusciti a raggiungere la classe E entro il 2033. In altre parole, o si sostengono le spese necessarie per far salire di classe energetica casa propria con i nostri soldi, o la casa in cui viviamo subirà un crollo del proprio valore.

Le previsioni di ANCE

Il testo della Direttiva casa green ha diviso in due le opinioni sulle tempistiche entro cui effettuarla. C’è chi sostiene la necessità di accelerare i tempi della riqualificazione degli edifici e chi invece promuove un approccio più ‘soft’.

In ogni caso l’attuazione un simile disegno presuppone un enorme piano strategico che interessa non solo il settore dell’edilizia, ma l’intera catena del valore che tali interventi richiedono (materiali, impianti, servizi, finanza). In sostanza quello che si dovrebbe creare è un vero e proprio Piano europeo per la neutralità e l’indipendenza energetica che presupponga:

  • adeguate risorse pubbliche,
  • un sistema di finanziamenti accessibili alle famiglie,
  • progetto industriale in grado di ridurre i costi delle forniture e degli interventi 
  • regime fiscale che sappia assecondare la creazione di un polo industriale, italiano ed europeo, capace di diventare un punto di riferimento mondiale dell’efficienza energetica.

Accanto a tutto questo serve anche un sistema efficiente di cessione dei crediti fiscali (anche per percentuali inferiori al 110%). Tale meccanismo infatti non può mettere n discussione, la monetizzazione dei lavori eseguiti, con il risultato di bloccare qualsiasi ulteriore decisione di investimento. Per questo motivo, quello che farà la differenza tra un Piano concreto di miglioramento ambientale e un libro dei sogni è la decisione di Eurostat sui crediti fiscali. Come abbiamo scritto anche qui, vengono considerati come debito pubblico e quindi possono essere spalmati su più anni.

Cosa può fare adesso l’Italia?

Come abbiamo già anticipato, la partita decisiva si combatterà al Consiglio Europeo. Sarà infatti quest’ultimo, nei prossimi mesi, a decidere se vidimare la decisione della Commissione o proporre emendamenti.

Si tratta di una sede di dialogo non ostile all’Italia. Tra l’altro, in questa sede, possiamo anche puntare sulla coerenza tra l’esecutivo in patria e i voti dei partiti al Parlamento Europeo. Finlandia, Spagna e Olanda infatti hanno già mostrato diverse riserve per la direttiva che ritengono eccessivamente precipitosa. C’è quindi spazio per il nostro paese per proporre modifiche alla direttiva “case green”. Ad esempio potremo fare in modo che si allunghino i tempi o modifichino le soglie di esenzione per evitare un disastro industriale.

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